Cronologia della pasta
30.000 anni fa
L’uomo impara a macinare
Sulle rive del lago di Bilancino, sopra Firenze, gli archeologi hanno scoperto un villaggio paleolitico con alcuni “macinelli”, sassi utilizzati per ridurre in farina radici e semi essiccati. L’arte della macinazione è quindi assai più antica dell’agricoltura.
10.000 anni fa
Medio Oriente, alta valle del Giordano: nella località chiamata Malaha, Jean Perrot nel 1958 scopre i resti di un villaggio preistorico che, all’esame della misura del carbonio, si rivela appartenente all’ottavo millennio prima della nascita di Cristo. Sulla base di tale scoperta viene formulata l’ipotesi che a partire da quell’epoca l’uomo, stabilitosi nella fertile valle del Giordano, scopre il segreto della coltivazione del grano.
8.000 anni fa
La diffusione dei cereali
Macedonia, pochi chilometri a Ovest di Salonicco: gli scavi archeologici iniziati da Robert Rodden portano alla luce reperti che risalgono a più di 6000 anni prima della nascita di Cristo. I manufatti rinvenuti dimostrano che l’uomo di quei territori non solo non era più nomade, ma viveva in una comunità retta da leggi, in un villaggio organizzato, all’interno del quale allevava le bestie anche per farsi aiutare nelle fasi della coltivazione dei cereali. E forse fu dall’Asia Minore, attraverso il Mar Egeo, che la ‘scoperta’ del grano si diffuse in Grecia e da qui a tutta l’Europa.
7.000 anni fa
Jugoslavia, corso del Danubio: i reperti hanno dimostrato che, stabilmente insediate lungo il fiume, vivevano, in grandi case di legno a pianta rettangolare, popolazioni dallo stadio civile e culturale molto avanzato. I loro costumi alimentari erano basati sulla coltivazione dei cereali come il frumento, l’orzo e il miglio.
4.000 anni fa
L’affresco del granaio
Egitto: un dipinto nella tomba di Mehenkuetre, cancelliere e ministro reale del faraone Mentuhotip, riproduce l’attività di un granaio e di una panetteria che mostra il primo esempio della pratica di purificazione delle semole attraverso setacci.
La focaccia di Abramo
Genesi 18, 6-7: “Abramo allora se ne andò in fretta nella tenda da Sara e le disse: ‘Presto, prendi tre staia di fior di farina, impastala e fanne delle focacce’”.
IX sec. a. C.
I popoli italici coltivano prevalentemente farro e orzo (con il quale cucinano ‘la polenta’ aggiungendo anche semi di lino, coriandolo e sale), ma anche miglio e grano. I cereali, prima di essere cotti come polenta, vengono però abbrustoliti, probabilmente per disinfestarli da tutti i tipi di parassiti ed allungarne, così, notevolmente il periodo di conservazione.
490 a. C.
Roma è colpita da una gravissima carestia. Il Senato istituisce il primo calmiere, decidendo di acquistare dall’Italia un grosso quantitativo di grano da distribuire al popolo in forma gratuita o semi-gratuita.
I sec. a. C.
Le Lixulae di Terenzio
Marco Terenzio Varrone (116-27 a. C.) nel suo De lingua latina parla di Lixulae, specie di gnocchi ottenuti impastando acqua con farina e formaggio, che erano considerati tra i cibi più poveri.
35 a. C.
La cena di Orazio
Q. Orazio Flacco (65 a. C. – 8 a.C.) descrive nella satira VI del I Libro, v. 115 la propria frugale cena: [..]inde domum me ad porri et ciceris refero laganique catinum, “quindi me ne ritorno a casa (la sera) per mangiare una scodella di porri, ceci e lagane”. Ma probabilmente le lagane di Orazio erano fritte e non lessate.
850 d. C.
Il musicista arabo Ziryab, passato alla storia con lo pseudonimo di Petronio Arabo, portò in voga nella Spagna dell’emirato di Abd-ar Rahman II, l’arte della cucina e della tavola elegante e introdusse vari cibi, sempre esteticamente disposti sulla tavola, fra i quali compaiono anche certi impasti di farina che hanno le caratteristiche delle paste alimentari.
1041
Maccheroni… da soprannome
Nel Codex Diplomaticus Cavensis (Cava dei Tirreni, Salerno) si cita un certo “Nardus de Mari qui dicitur mackarone”. Il documento è importante ai fini della storia della pasta poiché, anche se il termine vi compare nel senso traslato di sciocco, testimonia che era comunque già largamente diffuso.
1154
I vermicelli di Al-Idrisi
Ne Il diletto di chi è appassionato per le peregrinazioni attraverso il mondo, il geografo arabo Al-Idrisi, descrive il paese di Trabia, in Sicilia, luogo incantevole, ricco di acque perenni e mulini, in cui si fabbrica un cibo di farina a forma di fili in quantità tali da rifornire, con navi, oltre i paesi della Calabria, quelli dei territori mussulmani e cristiani. Nel testo la pasta è definita itriyah che in arabo significa pasta tagliata a strisce.
XIII sec.
Federico II, stando alla testimonianza del poeta Walter von der Vogelweide (1165-1230 ca.), amava particolarmente i maccheroni dal sugo dolce, conditi cioè con lo zucchero, come si usava allora.
Jacopone e le lasagne
Frate Jacopone da Todi (1230-1306) sentenzia che “granel di pepe vince per virtù la lasagna”.
Le ghiotte lasagne di Salimbene
Fra’ Salimbene da Parma (1221-1282) parlando nella sua Cronica di un frate grosso e corpulento, tal Giovanni da Ravenna, annota: “non vidi mai nessuno che come lui si abbuffasse tanto volentieri di lasagne con formaggio”.
Lasagne pericolose
Cecco Angiolieri (1260-1312) ammonisce: “chi de l’altrui farina fa lasagne, il su’ castello non ha ne muro ne fosso”.
1244
2 agosto – La dieta del lanaiolo
Il medico bergamasco Rogerius de Bracha si impegna, con atto rogato dal notaio Giannino de Bredono, a guarire, in cambio di sette lire genovesi, il lanaiolo Bosso da una malattia del cavo orale. Il malato, davanti ai testimoni, si impegna a non mangiare alcuni cibi tra i quali è elencata anche la pasta lissa.
1279
4 febbraio – Un barile di… maccheroni
Il notaio Ugolino Scarpa redige una atto in cui si attesta che il milite Ponzio Bastone lascia in eredità, tra altre povere cose, anche una “bariscella plena de macaronis”. Si tratta dunque di pasta essiccata, probabilmente a forma di piccoli gnocchi, tipo gli attuali gnocchetti sardi.
1295
Marco Polo (1254-1324) torna dalla Cina e tra le tante meraviglie di quel Paese cita anche delle lasagne, (da lui ben conosciute in patria) fatte con “farina di alberi” – albero del pane o albero del sago – e non con grano duro, sconosciuto in quel Paese.
20 settembre – I maccheroni di Carlo Martello D’Angiò
Napoli, alla corte angioina la regina Maria, madre di Carlo Martello d’Angiò fa pagare ai creditori “quattro once per prezzo di maccheroni ed altro”.
Franco Sacchetti (1335-1400), poeta e novelliere, nelle sue Rime elenca “le zuppe lombarde, le lasagne maritate, le frittelle sambucate”.
Giovanni Boccaccio (1313 ca. – 1375) nel suo Decamerone, raccontando le delizie del paese del Bengodi, dove chi più dorme più guadagna, descrive una montagna di formaggio parmigiano grattugiato, dal quale rotolano giù maccheroni e ravioli cotti in brodo di cappone.
Gli “homini di buona pasta”
In questo secolo si diffonde il modo di dire ‘essere di buona pasta’ per indicare una persona buona e amabile, l’esatto opposto delle persone ‘di pasta grossa’, rozze e meschine.
Giovanni Sercambi (1347-1424): “Spartosi la novella di ser Martino per la contrada, alcune donne et alquanti omini di buona pasta andavano a lui dicendo…”.
Indole tutta diversa doveva avere, stando a quanto di lui ci dice Boccaccio, “Frate Puccio […]uomo idiota era di pasta grossa”.
1316
7 gennaio – La casa della pastaia
Il notaio Giacomo Nepitello di Genova roga un atto di locazione della casa di Maria Borgogno, la quale di mestiere “faciebat lasagnas”, cioè produceva lasagne.
1329
14 gennaio – Lasagnaro a Genova
In un atto notarile genovese si nomina un tale “Gualterius Lasagnarius”, abitante nella contrada del Prione di Genova.
1338
Mastro Barnaba da Reatinis di Reggio Emilia ne trattato Della natura e proprietà degli alimenti, nota, a proposito dei diversi nomi delle paste alimentari, che i Vermicelli toscani sono chiamati Orati a Bologna, Minutelli a Venezia, Formentini a Reggio, Pancardelle a Mantova.
1351
Il 31 maggio e il giorno seguente si imbarcano sulla galea di Paganino Doria, Pietro Embriaco e Giovanni Bartolotto di Fegino, due lasagnarii destinati a preparare la pasta fresca per l’equipaggio durante la navigazione.
1367
La lasagnaia di Firenze
Donato Velluti (1313-1370), statista fiorentino, nella sua Cronica Domestica, parla di un tale che “fu figliolo di una fornaia, ovvero lasagnaia”. La donna era di origine siciliana, ma viveva a Firenze dove gestiva la propria bottega.
1371
17 ottobre – Il calmiere della pasta di Palermo
A Palermo viene fissato un calmiere per le paste alimentari distinguendo tra pasta axutta (seccata) e pasta bagnata e fissando differenti prezzi per “maccaruni blanki di symula e lasagni di symula” a 30 denari il rotolo [pari a kg 0,79] e “maccaruni di farina e lasagni di farina” a 20 denari il rotolo.
1376
In Italia i maccheroni si mangiavano con la forchetta, quando tale strumento era ancora sconosciuto alle corti inglesi e francesi. Franco Sacchetti (1332-1400) narra di un certo Giovanni Cascio che si ritrova seduto a tavola con Noddo d’Andrea, un ghiottone capace di ingoiare cibi “ancor che boglienti”. Quando vengono serviti i maccheroni “boglienti […] Noddo cominciò a raguazzare (muovere agitando) i maccheroni, avviluppa e caccia giù; n’aveva già mandato sei bocconi giù, che Giovanni aveva ancora il primo boccone sulla forchetta”.
1421
A Milano diventa necessario fissare calmieri sui prezzi delle paste alimentari: “dal giudice degli alimentari sia fissato di volta in volta il prezzo delle lasagne e dei formentini (“precium lasagnarum et formentinorum”)”.
1450 ca.
I maccaroni di Mastro Martino
Nel Libro de arte coquinaria di mastro Martino de Rubeis (XV sec.) da Como, leggiamo diverse ricette “regionali” di maccaroni, del tutto assimilabili alle nostre lasagne (maccaroni romaneschi), tagliatelle (maccaroni in altro modo), maccheroni chi fir (maccaroni siciliani) e vermicelli, che, fatti seccare al sole, durano doi o tre anni.
1474
I maccheroni del Platina
L’umanista cremonese Bartolomeo Sacchi, detto il Platina (1421-1481), nel De honesta voluptate ac valetudine riporta la ricetta dell’“Esicium ex carne”, pasta ripiena grande come una castagna (castaneae magnitudinem), tra le prime citazioni a stampa dei ravioli e delle paste ripiene.
XVI sec.
Teofilo Folengo (1491-1544) inventa la poesia maccheronica, scritta in una lingua in cui si mescolano termini latini con parole italiane latinizzate. L’Olimpo delle muse maccheroniche è una boccaccesca terra del Bengodi in cui, tra altre delizie, vi sono “cento caldaie che mandano il loro fumo verso le nubi, piene di caciottine, maccheroni e lasagne”.
1509
Il Viceré del Regno di Napoli emana un bando in cui si intima che “quando la farina saglie per guerra, carestie et altra indisposizione de stagione de cinque carlini in su el tumolo” i rivenditori non possono cucinare dolci né devono confezionare “maccarune, trii, vermicelli excepto in caso de necessità de malati”.
1549
Pasta alla Corte di Ferrara
Viene edita per la prima volta l’opera di Cristoforo Messisbugo (fine 1400-1548), Banchetti, composizione di vivande et apparecchio generale, stampata a Ferrara, città in cui visse operando come cuoco alla Corte del cardinale Ippolito d’Este. Vi figurano le ricette dei maccheroni romaneschi con uova intere, mollica di pane e zucchero e dei Tortelli grassi, con ripieno di carne mista (petto di cappone e pancetta di porco grassa e buona), formaggi (formaggio duro grattato e formaggio grasso), uova, erbe e aromi, cotti in un buon brodo grasso.
L’ingegno per li maccheroni
Cristoforo Messisbugo (fine 1400-1548), parlando delle masserizie necessarie al buon funzionamento della cucina, cita anche “l’ingegno per li maccheroni”, cioè il torchio per fabbricare la pasta. D’altra parte il cuoco estense cita i maccheroni napoletani e i vermicelli tra le varie scorte alimentari di cui doveva disporre una buona cucina dimostrando indirettamente come già all’epoca si fabbricasse pasta secca da tenere a disposizione per eventuali necessità.
1570
I maccheroni di papa Pio V
Viene stampata a Venezia, dall’editore Michele Tramezzino, la preziosa Opera di Bartolomeo Scappi (fine XV sec.-1577), cuoco segreto di Pio V. Tra le varie ricette sulla pasta da segnalare i Mille fanti, ottenuti da un impasto di farina e acqua tiepida rivoltato fino ad “ottenere tanti granelli grandi come miglio, che, fatti seccare al sole, si conservano in sacchetti, i Maccheroni a ferro, confezionati arrotolando intorno a un ferro da calza la pasta, dolce di zucchero e colorita con zafferano, stesa in sfoglia spessa come la costa di un coltello e tagliata in strisce larghe mezzo dito e lunghe quattro dita”.
La comparsa della gramola
Nella cucina descritta da Bartolomeo Scappi (fine XV sec.-1577) “bisogna non men d’ogni altra cosa una gramola per gramolar più sorti di pasta”. Se la gramola, già nel Cinquecento, è considerata indispensabile per il buon funzionamento della cucina di una Corte, ne consegue che tale macchina deve a maggior ragione essere presente anche nelle botteghe artigiane, così come l’ingegno (marchingegno) per i maccheroni, cioè il torchio usato nella fabbricazione delle paste alimentari.
1571
I Vermicellari di Napoli
È l’anno a cui risale lo Statuto più antico in nostro possesso riguardante la Corporazione dei Vermicellari di Napoli, anche se la sua esistenza è provata da altri documenti già negli anni Quaranta del secolo.
1574
28 maggio – I Fidelari di Genova
Viene approvato dai Senatori della Repubblica di Genova il più antico Statuto dell’Arte dei Fidelari (i pastai) che confermano, tra l’altro, come la pasta già in quel periodo fosse confezionata con la semola.
1577
A Savona un documento d’archivio ci informa dell’esistenza dell’Arte dei Maestri Fidelari, aggregati ai Formaggiari.
1579
Nei Capituli dell’Arte delli Vermicellari della Fedelissima città di Napoli si legge: “Ogni bottega deve avere forzosamente il suo ingegno [cioè un torchio] atto a Lavoro; è conservata in omnibus la costumanza ed uso di dett’Arte con la Vite di Bronzo, acciò il Lavoro venghi di perfettione per servitio del pubblico”.
1584
Come il cacio sui maccheroni
Giordano Bruno (1548-1600) nel suo libro Lo spaccio de la bestia trionfante cita il modo di dire propriamente napoletano “è cascato il maccarone dentro il formaggio”.
1592
Fidelli fatti a macchina
Da documenti conservati nell’Archivio Doria si ha testimonianza dell’uso di trafile per pasta lunga: in tali documenti si legge infatti che i fidelli fatti a macchina costavano meno dei gnocchetti fatti a mano.
1602
14 ottobre – I Vermicellari a Roma
Viene emanato a Roma un bando Contra Vermicellari secondo il quale i pastai si devono attenere inviolabilmente al calmiere circa i prezzi, tra altre cose, di lasagne, vermicelli gialli, vermicelli, tagliolini e maccheroni bianchi; i Vermicellari devono inoltre impegnarsi “a tenere di continuo nelle loro botteghe in mostra le suddette robbe, et in particolare delli Vermicelli, et Tagliolini bianchi”.
Gli agnellotti in minestra di Giovanni del Turco
Il musicista Giovanni del Turco (1557-1647), comincia a raccogliere il materiale che confluirà nel suo Epulario nel quale si tratta del modo di cucinare carne, pescie, et ova.
Tra le ricette di questa raccolta, particolarmente interessanti sono quelle della pasta ripiena, nelle quali l’autore dà una minuziosa descrizione, non solo degli ingredienti e della preparazione, ma anche delle fasi del confezionamento, come gli Agnellotti in minestra.
1605
31 marzo – I Vermicellari di Palermo
Vengono emanati i Capitoli della Maestranza dei Vermicellari della città di Palermo.
1617
Gnocchetti sardi fatti a mano
Da un’ordinanza emanata a Savona risulta che al tornio de Fidelari si fabbricano le paste locali, mentre quelle importate dalla Sardegna e dalla Sicilia sono confezionate a mano.
1624
Origine del Tortellino
Sull’origine del tortellino scrive Alessandro Tassoni (1565-1635) nella Secchia Rapita:
“Marte sostò a Castelfranco con la sorella Venere,
di cui l’oste ammirò la bellezza senza veli
… l’oste ch’era guercio e bolognese
imitando di Venere il bellico,
l’arte di fare il tortellino apprese…”
1625
Il lucchese Antonio Frugoli (XVII sec.) descrive un pranzo diplomatico imbandito a Madrid l’11 febbraio 1625 tra le cui portate compaiono anche “i maccheroni di Sardegna” (gnocchetti sardi).
1628
A Napoli si consuma anche pasta proveniente da altre zone del Vicereame, in particolare la pasta che proviene da Cagliari e che può essere venduta anche dagli Speziali manuali, ai quali però è fatto divieto di “tenere Maccaroni, Vermicelli, e Tagliolini”.
1630
In brodo di maccheroni
Giambattista Basile (1575-1633) nella raccolta di fiabe popolari del napoletano intitolata Cunto de li cunti, descrive le traversie di tal Jennarello e ci dice che il protagonista, dopo essere passato per una trafila, se ne usciva “mbruodo de maccarune”. Si tratta di una delle prime attestazioni letterarie del termine trafila inteso come marchingegno che con le diverse forme e dimensioni dei fori determina la diversità dei formati di pasta.
Una sbronza di tagliatelle
Girolamo Aleandri il giovane (1574-1629) ne La difesa dell’Adone (Venezia 1629), descrive in modo colorito una scena di vita di Corte: “Giuocando alcuni Gentilhuomini a sbaraglino in casa del marchese Pepoli, fu da un di loro detto all’altro per burla, ch’egli era briaco di tagliatelli, cioè di quella minestra di minute fettucce di sfoglia di pasta, che in molti luoghi di Lombardia si dicono lasagnette, e a Roma (se male non mi ricordo) tagliolini”.
1639
Pastai e formai
I Vermicellari di Roma ottengono che sia vietato ai fornai fabbricare vermicelli.
1642
17 gennaio – I Vermicellai di Roma
A Roma la Corporazione dei pastai redige il proprio Statuto e si intitola “Universitas et Ars Vermicellariorum”.
1649
Dal verbale di una riunione dei Fidelari di Genova, avvenuta l’11 maggio 1649, si desume che la materia prima della pasta genovese è il grano duro, dal momento che i consoli parlano esclusivamente di “compre dei grani duri”.
1654
Viene stampato a Modena il poemetto Della discendenza e nobiltà de maccaroni, del conte Francesco de Lemene (1634-1704). Tali rime, oltre a rappresentare il primo tentativo di classificazione ragionata dei formati di pasta, forniscono anche una tra le più remote testimonianze dell’esistenza di due macchine essenziali perché si possa parlare di pastificio in senso moderno: la gramola e il torchio.
1660 circa
Gli gnocchi sul Torracchione
Bartolomeo Corsini (1606-1673) ne Il Torracchione, poema eroicomico, composto intorno al 1660 e pubblicato postumo, ricchissimo di motti proverbiali, non trova miglior locuzione per descrivere l’estasi del rapimento d’amore: “Ivi stette ogni altra cura a monte/ mandando or da sera or da mattina/ a specchiarsi di lei ne’ lucidi occhi/ e a far con lei della sua pasta gnocchi”.
1665
Alla scoperta del glutine
Il professore gesuita Francesco Maria Grimaldi (1618-1663) in un manuale di ottica descrive l’essenza e le proprietà del glutine al capitolo intitolato Index rerum nobilium. Egli dichiara che il glutine, che si ottiene dalla farina, bagnato è vischioso e colloso, ma, una volta evaporate le particelle liquide, allora diviene secco e praticamente infrangibile (durum ac inflexibile).
1666
Dai libri di cassa dell’Arte dei Lasagneri di Venezia si ricava che i formati delle paste alimentari fabbricati allora erano: lasagne, maccheroni; nenelli e rapioli.
1676
Gnocchi barocchi
Ne Il Malmantile racquistato, poema del pittore fiorentino Lorenzo Lippi (1606-1674), molto interessante dal punto di vista linguistico per la sua ricchezza di vocaboli, modi di dire e locuzioni tipiche della parlata fiorentina del tempo, viene riportata l’espressione “ognun può far della sua pasta gnocchi”, cioè disporre delle proprie cose come meglio si crede, per lo più a sproposito.
1699
I Maccaronari a Napoli
Napoli, la Corporazione dei Vermicellari cambia nome e diventa Corporazione di Maccaronari, con proprio Statuto. Ciò dimostra che dal Settecento il termine maccherone indica praticamente tutti i formati di pasta, sia quelli fabbricati con il torchio e la trafila, che quelli confezionati a mano.
XVIII sec.
Il Macaroni Club a Londra
I maccheroni in Inghilterra sono l’emblema dell’Italia, ma senza alcuna nota dispregiativa; al contrario il termine macarone viene usato ad indicare persona fine, elegante, che può permettersi di consumare cibi esotici con un pizzico di snobismo.
Non a caso nel Settecento a Londra esiste il “Macaroni club”, che accoglie “giovanotti navigati, con lunghi riccioli e occhialetti”, grandi estimatori della buona tavola, e l’applauditissima commedia “The macaroni” fa il giro dei migliori teatri londinesi.
1740
Le paste di Genova a Venezia
Il genovese Paolo Adami chiede (e ottiene) ai Deputati alle Regolazioni del Commercio di Venezia l’autorizzazione ad aprire una fabbrica di “paste fine che in Genova si manipolano e non fanno i Lasagneri di questa città”, impegnandosi a insegnare “a qualunque Capo Mastro o figli di Capo Mastro che volesse apprendere l’arte e maniera di fabbricar pasta fine ad uso di Genova”.
1743
Nell’Ottobre del 1743 Giacomo Casanova (1725-1798), all’età di 20 anni, sostò a Chioggia per tre giorni.
Vi compose e recitò un sonetto in onore dei maccheroni. E ne mangiò una tale quantità che fu chiamato Principe dei Maccheroni.
1745
Gli studi sulla farina
Viene edito il trattato De scientiarum et artium Instituto atque Academia Commentari di Bartolomeo Beccari (1682-1766). In esso il chimico bolognese affronta scientificamente lo studio del frumento dimostrando che nella farina vi sono due sostanze essenziali: quella glutinosa e quella amidacea.
1765
Varietà di grano
Viene pubblicato a Firenze il trattato Delle specie diverse di frumento e di pane e della panificazione, di Saverio Manetti (1723-1785), in cui si affronta una classificazione dei vari tipi di frumento destinati alla produzione della pasta: “La specie sopradescritta serva pure per fare le paste migliori e più bianche, come sono i vermicelli fini, i maccheroni fini, i tagliatelli sottili, i foratini, i semini”.
1766
Santo Stefano protettore dei Pastai
Il corpo di santo Stefano viene rinvenuto in una madia in cui era stato sepolto di nascosto e per questo viene assunto quale protettore dei Pastai.
1773
Pulcinella e il torchio da pasta
Jacopo Vittorelli (1749-1835) nativo di Bassano del Grappa (VI), scrive il poemetto giocoso I maccheroni in cui, oltre ad attribuire a Pulcinella l’invenzione di “tal cibo che rallegra gli animi”, specifica che, mentre un tempo la pasta si faceva a mano, i vari formati “ora li spreme il torchio e in più di dodici fogge diverse”…
1779
Enciclopédie dei vermicelli
Esce a Ginevra la nuova Enciclopédie di Denis Diderot (1713-1784) e Jean Baptiste Le Rond D’Alembert (1717-1783) in cui, alla voce vermicelier si descrive minuziosamente la lavorazione della pasta. Si specifica tra l’altro che esistono due tipi di torchio, a vite verticale per le paste lunghe e a vite orizzontale per le paste corte, tagliate con un coltello fissato al centro della trafila.
1787
Goethe e i maccheroni
Lo scrittore tedesco Johann Wolfgang Goethe (1749-1832), nel suo diario Viaggio in Italia, dopo aver definito i maccheroni come una “pasta delicata, fatta di farina fina, fortemente lavorata, bollita e trafilata in certe forme”, disegna delicati scorci di vita napoletana descrivendo l’attività dei maccheronari che, agli angoli di quasi tutte le grandi vie, “con le loro casserole piene di olio bollente sono occupati particolarmente nei giorni di magro, a preparare maccheroni, con uno smercio incredibile, tanto che migliaia di persone portano via il loro pranzo e la loro cena in un pezzettino di carta”.
1789
Una pressa per il presidente degli Stati Uniti
William Short (1759-1849), incaricato da Thomas Jefferson (1743-1826) di procurargli una macchina per la produzione della pasta, scrive da Napoli una lettera allo statista americano nella quale gli comunica di aver comprato la trafila che desiderava, allegando prezzi e dati relativi al torchio da pasta. L’idea di diffondere Oltreoceano la pasta e la giusta ricetta per cuocerla, ebbe tuttavia successo solo molto più tardi, ad opera di emigrati italiani.
1794
Le macchine del pastificio
Da un atto di vendita savonese ricaviamo la descrizione delle due macchine del pastificio antico, la gramola e il torchio, già utilizzata a partire dal XVI secolo. La semola veniva versata nel bacile di legno duro della gramola, si creava il cratere nel quale si versava l’acqua tiepida e si cominciava ad impastare manualmente. In un secondo momento si faceva passare la pesante mola di marmo sull’impasto spingendola con la stanghetta. Quando la pasta era ben gramolata veniva tagliata in grossi pezzi che venivano messi nella campana del torchio dove, compressi dal pistone a vite, trovavano un’unica via di uscita, quella della forma di rame, cioè della trafila, che li foggiava in forma di maccheroni.
1806
I maccheroni di Napoli sono diritti
M. Bonaiuti da Londra scrive, in Italian scenery: “I maccheroni di Napoli si riconoscono facilmente. Non sono avvolti a matassa come quelli di Genova. Sono assolutamente diritti e solo ad una estremità hanno una curva, perché non appena sono usciti dalla pressa per la lunghezza prestabilita, vengono appesi a dei bastoni per farli essiccare. Il foro che li attraversa da un capo all’altro è perfettamente eseguito.[…] Ciò che più li distingue è il loro colore giallo dorato. Il loro impasto è granulare e guardato contro luce presenta una particolare trasparenza propria dei veri maccheroni di Napoli”.
1808
Genealogie… olimpiche
Il medico fiorentino Camillo Cateni (1760-XIX sec.) nella Cicalata in lode dei maccheroni afferma, attraverso una complicata serie di sofismi “genealogici”, che “i maccheroni sono in corpo e in anima strettissimi parenti di Giove”.
1824
Vermicelli liguri sotto Napoleone
Gilbert Joseph Gaspard conte de Chabrol de Volvic (1773-1843), prefetto napoleonico nel savonese negli anni 1806-1812, pubblica nel 1824 una statistica sulle attività economiche del savonese tra le quali spiccano le “fabbriche di paste: i circondari di Savona e di Porto Maurizio ne hanno 148. Se ne esportano grandi quantitativi in Provenza e in Piemonte. […].Il prodotto di ciascuna fabbrica è di 280 quintali di pasta per anno” (circa 18 chili per operaio al giorno).
1825
Maccheroni specialità gastronomica
Il grande gastronomo Anthelme Brillat-Savarin (1755-1826) in “La fisiologia del gusto o meditazioni di gastronomia trascendente” acutamente osserva: “… Per l’Italia i maccheroni, il parmigiano, la mortadella e i gelati sono da porre sullo stesso piano delle specialità gastronomiche dei maggiori Paesi”.
1827
A Borgo Sansepolcro (AR) Giovanni Battista Buitoni (1769-1841) apre il pastificio meccanico più antico d’Italia.
1830
La prima gramola a coltelli
Viene bandito un concorso per la creazione di una gramola meccanica. Il concorso è vinto dalla ditta Pattison di Napoli che costruisce la gramola a coltelli: l’impasto, contenuto in un piatto di legno circolare, viene ripetutamente colpito da una doppia stanga di legno, alzata e abbassata meccanicamente, mentre ad ogni colpo il piatto ruota leggermente, in modo tale che l’impasto venga lavorato progressivamente.
1833
L’uomo di bronzo per far spaghetti
Ferdinando II di Borbone (1810-1859) re di Napoli, in visita a un pastificio inorridisce vedendo che l’impasto dei maccheroni è pigiato con i piedi; incarica così Cesare Spadaccini, illustre ingegnere, di ideare un sistema di lavorazione più igienico. Dopo un anno di studi viene pubblicato il Novello e grande stabilimento di paste, con l’uomo di bronzo, per togliere l’uso abominevole di impastare con i piedi, costruito da Cesare Spadaccini e viene intrapresa la costruzione di un moderno pastificio, ma spentosi l’entusiasmo iniziale, don Ferdinando decide di tagliare i fondi, decretando la fine dell’impresa.
1834
250 fabbriche di vermicelli
Lo scrittore e giornalista torinese Davide Bertolotti (1784-1860), nel Viaggio nella Liguria Marittima pubblicato nel 1834, afferma che la provincia di Genova ha “dugentocinquanta fabbriche di vermicelli”, che “manda per mare a Costantinopoll, a Cipro, in Egitto, in Francia, in Inghilterra, in Spagna e nelle due Americhe, nonché per terra nella Lombardia, nella Toscana, nella Svizzera, nella Germania”.
1837
La “prima volta” col pomodoro
La pasta si sposa al pomodoro per la prima volta in una ricetta contenuta nella Cucina teorico-pratica del napoletano Ippolito Cavalcanti (1787-1859) Duca di Buonvicino. Il segreto del successo dei vermicelli con il pomodoro sta nel far restringere con cura la salsa, nel cuocere al dente la pasta e nel far saltare il tutto in padella, dando ogni tanto una rivoltata fino a raggiungere il perfetto condimento.
1845
I primi torchi idraulici
In Viaggio da Napoli a Castellammare Francesco Alvino (XIX sec.) riporta la notizia che “Nicola Fenizio, che è celeberrimo intraprenditore (in Gragnano), ha fatto nella sua fabbrica quattro torchi idraulici, che lavorano a meraviglia”.
1846
Tecnologia a vapore
Il signor Giuseppe Doglio, in occasione di un’esposizione tenutasi a Genova, viene premiato con la medaglia d’argento per la creazione di un torchio per paste realizzato in ferro e bronzo con la campana riscaldata a vapore.
1858
Maccheronica emulazione
Francesco de Bourcard (XIX sec.) nella raccolta Usi e costumi di Napoli, ricorda: “i maccheroni, e chi non lo sa? sono la forma onde lo straniero contrassegna la plebe napolitana. […] Alla comun maniera di fabbricare tal pasta, si è unita oggi la macchina idraulica e tra i seguaci dell’uno e dell’altro sistema si eccita già una maccheronica emulazione”. Comincia a diffondersi l’uso della pressa idraulica (e non solo meccanica) per la formatura della pasta.
1860
Macaron politik
Il 7 settembre 1860 il generale Giuseppe Garibaldi (1807-1882), dopo aver conquistato la Sicilia, entrava in Napoli e nulla ormai avrebbe potuto impedire l’unità d’Italia. Cavour (1810-1861), Capo del Governo italiano, ne dava notizia, scrivendo nel rapporto ufficiale con la maggiore serietà possibile: “I maccheroni sono cotti e noi li mangeremo”.
1862
10 novembre – Verdi e i maccheroni di San Pietroburgo
Nella corrispondenza di Giuseppe Verdi (1813-1906) fu pubblicata una lettera della moglie Giuseppina Strepponi all’impresario Corticelli nella quale ammette che ci sarebbero voluti “i tagliatelli e i maccheroni ben perfetti per renderlo di buon umore in mezzo al ghiaccio e alle pellicce (di San Pietroburgo)” in occasione della prima de “La forza del destino”.
1877
Nasce la Barilla
A Parma viene aperta una modesta bottega, con forno annesso, per la vendita del pane e della pasta fresca: il proprietario si chiama Pietro Barilla sr. (1845-1912) e darà l’avvio ad una impresa oggi leader di mercato nel mondo.
1878
La semolatrice meccanica
Viene introdotta nell’industria del pastificio la cosiddetta “Marsigliese”, una semolatrice che non solo azionava meccanicamente il setaccio, ma, attraverso un soffio d’aria proiettato sotto il setaccio stesso, facilitava la giusta stratificazione dei prodotti per peso.
1879
Spaghi linguistici
Il Dizionario della Lingua Italiana di Niccolò Tommaseo (1802-1874) e Bernardo Bellini (1794-1877) alla voce “Spaghetto, singolare maschile diminutivo di SPAGO”, include la locuzione “Minestra di spaghetti: che sono paste della grossezza di un piccolo spago e lunghe, come i sopraccapellini”.
1882
Nuove tecnologie
La ditta Pattison costruisce a Napoli le prime presse idrauliche a gotto montante, in cui è la campana contenente la pasta che viene spinta contro il pistone fisso. Tale sistema verrà poi sostituito da quello a gotto fisso e pistone discendente, con il quale si arrivò ad una produzione media di 1 quintale di pasta ogni venti minuti.
1892
Statistiche maccheroniche
Nel volume Province di Genova e Porto Maurizio Gustavo Strafforello (1820-1903) traccia un quadro preciso della filiera della pasta nella Liguria di fine secolo. “Si può calcolare che fabbricansi in complesso circa 159.000 quintali di paste all’anno, i quali si smerciano abbondantemente nel Regno e all’estero, principalmente negli Stati Uniti, nel Brasile e in altri Stati dell’America Meridionale, a Gibilterra e a Costantinopoli”.
1904
Viene messa a punto la gramola ligure a rulli.
1908
Il sogno del pastaio
Ne L’industria del pastificio Renato Rovetta (XIX-XX sec.) sentenzia sconsolatamente: “diversi costruttori han mirato all’unione di queste macchine (impastatrice e torchio), o al lavoro continuo di ogni una, ma, finora, senza risultato positivo. Una buona impastatrice – gramolatrice e un torchio continuo risolverebbero, in massima parte, il problema, ma, allo stato attuale di queste costruzioni, sembra che siamo ancora lontani dal poter pervenire a tanto”.
1917
6 ottobre – Il brevetto della prima macchina continua
Viene depositato da parte del francese Féréol Sandragné (1844-1929), il brevetto per una macchina in grado di unire in modo continuo la lavorazione ancora interrotta tra gramola e torchio. È l’avvio della automazione industriale del pastificio.
1920
La ricetta di Rossini per i maccheroni
La governante di Rossini, Giulia Barbenoire, che era entrata al suo servizio a 18 anni, nel 1920 rilascia una affettuosa intervista dove ricorda: “Ogni sabato v’era il famoso pranzo: 15 coperti erano sempre pronti; veniva chi voleva: il fedele maestro Carafa, Tamburini, la Patti, d’Alboni, il pianista Diemer, … E tutti andavano in estasi per i famosi maccheroni che Rossini preparava con le proprie mani” e la cui ricetta recitava: “Perché i maccheroni riescano appetitosi occorre buona pasta, ottimo burro, salsa di pomodoro e Parmigiano eccellenti, e una persona intelligente che cuocia, condisca e serva”.
1930
Pastasciutta futurista
Nel Manifesto della Cucina Futurista, pubblicato il 28 dicembre 1930 sulla “Gazzetta del Popolo”, Filippo Tommaso Marinetti (1876–1944) propone l’“abolizione della pastasciutta, assurda religione gastronomica italiana”. Scoppia la polemica sulla stampa internazionale. Ma Marinetti, fotografato al Ristorante Biffi di Milano mentre mangia, con l’avidità di una trebbiatrice, un enorme piatto di spaghetti, viene deriso da un giornale satirico con questi versi: “Marinetti dice ‘Basta, messa al bando sia la pasta’. Poi si scopre Marinetti che divora gli spaghetti”. E così la querelle, nata per favorire la coltivazione del riso, si chiude rapidamente.
1933
La pressa continua degli ingegneri Braibanti
Viene messa in opera la prima pressa veramente continua, interamente automatica, che unisce impastatrice, gramola e torchio in un’unica macchina, ideata e progettata dagli ingegneri parmigiani Mario (1896-1970) e Giuseppe Braibanti (1897-1966) di Parma.
1948
La pasta di De Gasperi
Alcide De Gasperi (1881-1954) statista trentino e Presidente del Consiglio italiano dal 1945 al 1953, intervenendo sugli aiuti alimentari americani e sui rifornimenti di grano ebbe a dire: “L’Italia non si governa senza pasta”.
1957
1 aprile – Un pesce… di pasta!
La BBC manda in onda un cortometraggio intitolato: Raccolta primaverile degli spaghetti in cui si riprendono scene di vita contadina girate nelle campagne di Lugano. Uno speaker serissimo descrive gli alberi da cui pendono decine di chili di spaghetti, che, grazie all’abilità e alla perizia acquisita attraverso generazioni dai coltivatori di questo prodotto, crescono tutti della stessa lunghezza, facilitando le operazioni di raccolta. La mattina seguente la redazione della BBC ricevette numerose telefonate di persone interessate all’acquisto delle piante da spaghetto.
1958
La cena del Gattopardo
Magie sontuose nella casa del principe escono dalla penna di Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1896-1957) in una ammaliante pagina del Gattopardo: “Buone creanze a parte, però, l’aspetto di quei monumentali pasticci era ben degno di evocare fremiti di ammirazione. L’oro brunito dell’involucro, la fragranza di zucchero e di cannella che ne emanava, non erano che il preludio della sensazione di delizia che si sprigionava dall’interno quando il coltello squarciava la crosta: ne erompeva dapprima un fumo carico di aromi e si scorgevano poi i fegatini di pollo, le ovette dure, le sfilettature di prosciutto, di pollo e di tartufi nella massa caldissima dei maccheroni corti, cui il sugo di carne conferiva un prezioso color camoscio”.
1969
12 ottobre – Il più grande pastificio del mondo
A Parma inizia la produzione nello stabilimento Barilla di Pedrignano lungo l’Autostrada Milano-Bologna: il più grande pastificio del mondo, costruito su un’area di 125 ettari con una superficie coperta di 55.000 mq e un fronte lungo l’autostrada di 340 metri, con 11 linee continue lunghe 150 metri ciascuna, in grado di produrre e confezionare 10.000 quintali di pasta al giorno.
2003
Pasta enigmistica
La “Settimana Enigmistica”, glorioso periodico fondato nel 1934 da Giuseppe Sisini Conte di Sant’Andrea (1907-1972), nel numero 3716 cita un curioso personaggio mitologico, Aio Eolio: “Antico insegnante delle Lipari, ideò il famoso, omonimo, piatto di spaghetti”. Ovviamente nessuno ci ha creduto.