Nella storia della pasta, Bologna e le città dell’Emilia, non potendo coltivare in loco grano duro, si specializzano nella produzione di pasta all’uovo confezionata con grano tenero. I formati più noti e diffusi, legati alla tradizione locale e ricavati dalla sfoglia, sono le tagliatelle e le paste ripiene – tortellini – con impasti a base di carne.
Nel 1338 il Maestro Barnaba di Reggio nel suo Della natura e proprietà degli alimenti cita la pasta e ricorda espressamente le paste di Bologna dette Oreti.
Il debutto dei Maccheroni (allora confezionati in forma di gnocchi) nella lingua letteraria, si ha però col Decameron (1348-1353), nella famosa descrizione che Maso del Saggio fa allo sciocco Calandrino del paese di Bengodi nella Novella III della settima Giornata: “… ed eravi una montagna tutta di formaggio Parmigiano grattato, sopra la quale stavano genti che niuna altra cosa facevano che fare maccheroni e cuocergli in brodo di capponi, e poi gittavan quinci giù…”.
Mentre il pane è alla base dell’alimentazione quotidiana del popolo, la pasta rimane per secoli, e fino all’Ottocento, un “lusso”, un cibo costoso che solo le classi più ricche possono permettersi, o riservato a giorni particolari di festa (Natale, Pasqua, San Giovanni, il Patrono).
Ne è prova il vassoio in ceramica bianca e blu del 1633, opera di Angelo d’Alessandro (Laterza – Taranto) che raffigura un uomo in ricche vesti intento a divorare tagliatelle oggi conservato presso il Museo della Ceramica di Faenza. Il titolo “l’ingordo” è riportato sul piede.