Un’antica leggenda narra che nei musei, sotto il patronato di Apollo, la notte del solstizio d’estate le Muse richiamano in vita le immagini e danno voce agli oggetti che si fanno intervistare. In una di queste occasioni, una piccola ma preziosa pubblicazione di Cesare Spadaccini, conservata al Museo della Pasta di Collecchio mi permette di intervistare il geniale tecnico napoletano e di conoscere i segreti della tecnologia da lui messa a punto per innovare la produzione della pasta.
SPADACCINI E L’“UOMO DI BRONZO” PER LA PASTA
Napoli vanta di essere negli anni Trenta dell’Ottocento il più importante centro industriale del Mediterraneo. Fin dal 1758 a Torre Annunziata vi è la Reale Fabbrica d’Armi voluta da Carlo di Borbone (1716-1788); dal 1784 è in funzione il Cantiere Navale di Castellamare con fonderie, voluto da Ferdinando IV (1751-1825); nel 1817 viene varato il Ferdinando I, primo vascello a vapore del Mediteranno e nel 1832 Luigi Giura (1795-1864) realizza un ponte sospeso sul Garigliano con catenaria in ferro, primo ponte di questo tipo in Italia. Inoltre è in corso di costruzione la prima ferrovia tra Napoli e Portici su progetto di Louis Bayard de la Vingtrie che dovrebbe iniziare l’attività nel 1836 e per il 1838 si attende l’illuminazione a gas della città per la quale è in corso di costruzione il gasometro e la posa di tubature in ferro. A Pietrarsa vi è la più grande fabbrica metalmeccanica d’Italia e circa cento opifici del settore metalmeccanico sono attivi nell’area napoletana. Ora si dice che a Napoli, città celebre per la pasta, in strada Campo di Marte vi sia un novello e grande stabilimento di paste con un uomo di bronzo costruito da Cesare Spadaccini per togliere l’uso abbominevole d’impastare coi piedi, al quale chiediamo e otteniamo un’intervista.
Gentil Signor Spadaccini in che cosa consiste l’uomo di bronzo che opera in questo suo nuovo ampio e dignitoso stabilimento per la fabbricazione delle paste?
Come Lei può leggere in questo libretto appena ora pubblicato nello Stabilimento Tipografico dell’Aquila di cui le faccio omaggio e dedicato “agli uomini ed alle dame di senno” ho voluto organizzare e costruire un ampio e dignitoso stabilimento, come Lei dice, per la fabbricazione delle paste, usando un meccanismo ingegnoso che ho definito uomo di bronzo con il quale si elimina la indecente maniera di calcar le paste coi piedi. Si tratta di una impastatrice con pale meccaniche che con opportuni ingranaggi moltiplica la forza dell’uomo (da qui la definizione di uomo di bronzo) sostituendo la lavorazione della pasta di farina di grano duro per omogeneizzare l’impasto con i piedi, perché non è sufficiente la forza delle mani e delle braccia, anche se aumentata da una semplice leva come quella della gramola che invece può servire quando si usa farina di grano tenero. Tenga presente che oltre a curare la pulizia dell’impasto produco pasta prodotta da farina di grano scelto chicco per chicco per ottenere un cibo estremamente puro, gustoso e salutare.
Come le è venuta l’idea del suo “uomo di bronzo” e come ha potuto realizzarla?
Alcuni sostengono che l’idea mi sia stata data dal re Ferdinando II di Borbone (1810-1859) Re delle Due Sicilie dal 1830 al 1859 o per altri da Francesco I di Borbone (1777-1830) Re delle Due Sicilie dal 1825 al 1830), quest’ultimo noto fin dalla sua giovinezza per interessi scientifici, quando vede come qui a Napoli si lavora la pasta per produrre i maccheroni usando i piedi, allo stesso modo con cui dall’uva si produce il mosto. Alcuni infioriscono la leggenda aggiungendo che uno degli accompagnatori, forse il fisico pugliese Giuseppe Saverio Poli (1746-1825) a Napoli dal 1790 per all’Accademia militare Nunziatella e poi istitutore del giovane principe ereditario Francesco I, avrebbe ricordato l’antichità della pratica. Infatti lo storico greco Erodoto (484-420 circa a. C.) nelle sue Storie (II, 36) ricorda che gli Egiziani lavorano la pasta con i piedi e l’argilla con le mani. Morbida è l’argilla del Nilo e molto solida è la pasta di farina di grano duro, diversamente da quanto avviene in Grecia e altri paesi mediterranei dove dura è l’argilla e morbida la pasta di farina di grano tenero. La lavorazione della pasta con i piedi si mantiene anche in seguito, come conferma all’inizio della nostra era il geografo greco Strabone (60 a. C.-21-24 d. C.) e in Italia meridionale arrivando fino al Milleottocento. L’impasto che si ottiene dalla semola di grano duro presenta un’estensibilità minore rispetto a un impasto ottenuto con una farina di grano tenero, ma possiede un’elevata tenacità che lo rende ottimo per la produzione di pasta da essiccare.
L’idea di produrre pasta in modo pulito e soprattutto ben impastata mi è venuta dieci anni fa ma, come scrivo anche nel mio opuscolo, le mie forze e il dovere di educazione verso nove figli non mi hanno permesso di ultimarlo con quella celerità che avrei desiderato per rendere soddisfatto un padre più che un Re e forse da qui nasce la leggenda che sia stato un Re a darmi l’idea. Voglio inoltre ricordare che la realizzazione dell’uomo di bronzo è stata possibile solo a Napoli, il più potente polo metallurgico del Mediterraneo, ricco di cento opifici nel settore metalmeccanico dove lavorano ingegneri esperti nella costruzione dei più complicati strumenti meccanici, capaci di moltiplicare anche la forza umana.
Gentile Signor Spadaccini, nel suo opuscolo lei non parla soltanto dell’uomo di bronzo, ma anche dello stabilimento.
Come le ho detto ho voluto organizzare e costruire un ampio, dignitoso e novello stabilimento del quale l’uomo di bronzo di cui tanto ora si parla è soltanto una parte. Nel mio opuscolo indico anche come calpestare e impastare coi piedi di uomini balordi, cenciosi, senza cura o politezza sarebbe una delle cause più frequenti e meno conosciute dei mali dello stomaco e tisichezza causata dall’acidità delle paste provocata dalla traspirazione del lavoratore e dal sudore de’ piedi coi quali le paste sono lavorate. Inoltre elenco i doveri da osservare dai lavoratori nello stabilimento con l’obbligo di cambiare l’abito personale con quello dello stabilimento e di lavarsi mani e volto prima di intraprendere il lavoro. Oltre al dovere di ubbidire al capo, di non uscire dal locale senza permesso, di non bestemmiare, indico anche alcuni benefici piuttosto singolari in quest’epoca. Il salario di ogni operaio è pagato metà in contante e metà in generi dello stabilimento. L’operaio infermo per causa del lavoro riceve un sostentamento giornaliero durante la malattia e moglie e figli hanno diritto di lavorare in quella parte dello stabilimento in cui sono capaci. Se un operaio per quattro anni si è condotto onestamente, le figlie femmine hanno un maritaggio di cinquanta ducati.
Signor Spadaccini, nel ringraziarla per l’intervista, proprio queste ultime cose che mi ha elencato sotto un certo aspetto mi preoccupano. Lei mi pare un rivoluzionario sociale, imbevuto delle idee dell’Illuminismo e che il suo uomo di bronzo sia l’inizio di una rivoluzione nel mondo plurimillenario della pasta. Se così fosse, mentre lei ha impiegato dieci anni per progettare l’impastatrice di bronzo mossa dall’uomo, per la sua fabbrica ci vorranno cento anni perché possa prendere vita. Solo così posso immaginare, forse sognare, che tra un secolo, magari in un’altra città, nel 1933 un ingegnere depositi il brevetto che partendo dal suo uomo di bronzo diventi un’unica macchina di bronzo che dalla farina produce la pasta, mossa non più dalla forza umana ma da quella del vapore che ora inizia a muovere battelli e treni o da altre misteriose forze come quella che Alessandro Volta (1745-1827) il 20 marzo 1800 annuncia con l’invenzione della pila o “apparato elettromotore” o “apparato a colonna”.
L’intervistatore nella sua preveggenza immaginaria fa riferimento alla Pressa continua brevettata a Parma dagli ingegneri Mario (1896-1970) e Giuseppe Braibanti (1897-1966) nel 1933.