Le interviste impossibili – A cura di Giovanni Ballarini – Mario e Giuseppe Braibanti rivoluzionano la produzione della pasta

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Un’antica leggenda narra che nei musei, sotto il patronato di Apollo, la notte del solstizio d’estate le Muse richiamano in vita le immagini e danno voce agli oggetti che si fanno intervistare. In una di queste occasioni, una gigantesca pressa continua Braibanti esposta al Museo della Pasta di Collecchio mi permette di intervistare i suoi inventori, gli ingegneri parmigiani Mario e Giuseppe Braibanti, che grazie a questa macchina hanno rivoluzionato la tecnologia del pastificio nel 1933.

MARIO E GIUSEPPE BRAIBANTI RIVOLUZIONANO LA PRODUZIONE DELLA PASTA E CREANO IL NUOVO PASTIFICIO

La città di Parma sta diventando la nuova capitale della pasta, dopo la Palermo araba di Idrisi (1100-1165 ca.), la Genova commerciale del Milleduecento, la Grassa e Dotta Bologna Rinascimentale, la Napoli dei Mangiamaccheroni del periodo Barocco. Parma con l’unificazione e l’incorporazione nel Regno d’Italia sembra perdere la propria identità di Piccola Capitale che ha mantenuto per lungo tempo, ma quasi subito, dopo un periodo d’incertezza, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo sta conquistando il ruolo di Capitale Alimentare, per merito anche di una prestigiosa Stazione Sperimentale per le Industrie delle Conserve Alimentari (SSICA), nel campo del Pomodoro, Parmigiano, Prosciutto e non ultima la Pasta, con la particolare caratteristica di sviluppare nuove tecniche di coltivazione, produzione e trasformazione soprattutto con macchine innovative per ogni prodotto. Se nel 1833 Cesare Spadaccini nella Napoli allora capitale della pasta inventa l’uomo di bronzo e immagina un nuovo stabilimento, esattamente un secolo dopo, nell’odierno 1933, i due ingegneri Mario Braibanti (1896-1970) e Giuseppe Braibanti (1897-1966) brevettano una macchina che unificando le diverse fasi produttive, rivoluziona la produzione e la struttura stessa del pastificio dando nuovo slancio al ruolo di Parma come Capitale della Pasta. Per questo meritano senz’altro un’intervista e trovo i due fratelli Braibanti che a Parma, presso le Officine Barbieri di Barriera Bixio, stanno discutendo con il pittore Enrico Bonaretti (1893-1978).

Gentili ingegneri, vi ringrazio di avermi accordato questa intervista e non mi stupisco di vedervi assieme ad un artista, perché Parma è da sempre stata una città d’arte, ma qui ora quale è il suo ruolo?

Da tempo, mi risponde Mario Braibanti, il nostro coetaneo, pittore e scenografo Enrico Bonaretti sta lavorando a un progetto di un grande mosaico monocromo da posizionare all’esterno di questa officina meccanica raffigurante alcuni macchinari per la produzione della pasta, ma soprattutto la nostra ultima invenzione, la pressa continua, l’innovativo macchinario in grado di sostituire interamente tutti gli impianti della fabbrica e che abbiamo ora brevettato. Per questo l’immagine è divisa in due momenti temporali: a destra è raffigurato l’interno di un pastificio del secolo scorso con un asinello impegnato a fornire la forza motrice ai semplici e diversi macchinari. A sinistra troneggia il nostro innovativo macchinario che sostituisce tutti gli impianti del passato. L’immagine sarà poi realizzata in un mosaico di tessere resistenti al tempo come la nostra macchina.

Gentili ingegneri, vi vedo come molti parmigiani sensibili alle arti, ma come nasce il vostro interesse per la meccanica alimentare, se è corretta la mia definizione, e in particolare per quella della pasta?

L’esperienza bellica ha avuto un certo peso, facendoci fare esperienze nuove, dice Giuseppe Braibanti. Io durante la Grande Guerra sono stato ufficiale del Genio, mentre mio fratello Mario ha militato in Aeronautica ed entrambi ci laureiamo in ingegneria meccanica al Politecnico di Milano. Insieme iniziamo a lavorare nel pastificio paterno studiando nuove tecnologie e pensando ad un pastificio razionale e moderno. Anche se a Parma l’Arte dei Fornai risale al 1236, per secoli i panettieri hanno prodotto anche pasta all’uovo secondo la tradizione emiliana. Il Pastificio Braibanti di Valera inizia l’attività soltanto nel 1870 e nostro padre Ennio Braibanti (1860-1898), pure lui laureato in ingegneria, ci avvia ad analoghi studi. Pur legati al nostro pastificio, nel 1928 apriamo a Milano uno studio per la progettazione di macchine e linee per pastifici, dove facciano grandi conoscenze ed esperienze e qui si pone il nostro ultimo brevetto della rivoluzionaria pressa continua di quest’anno.

A questo proposito una domanda indiscreta: chi di voi due fratelli ha avuto l’idea che ha portato alla nuova invenzione?

Qui lei sbaglia, dice Mario Braibanti, e come moltissimi ha l’idea dell’inventore, a volte un poco stralunato se non un poco folle, che ha un’idea, la realizza e presenta al pubblico la sua invenzione quasi come Venere che esce dalle schiume del mare già completa. Nel nostro caso, come in moltissimi altri casi, l’idea è di molti, poi vi è chi inizia a lavorarci sopra non da solo, ma assieme ad altri, con insuccessi e successi fino ad avere un prodotto sufficientemente concreto. Ed è a questo punto che quello che è poi ritenuto l’inventore lo presenta al mondo, con uno o più brevetti. E anche allora la storia non finisce, perché, se il prodotto è valido, diviene oggetto di perfezionamenti e dà il via a successive invenzioni. Nel nostro caso dobbiamo partire dall’ufficio in Piazzale Cadorna a Milano nel quale vi è Alessandro Lenner (1906-1973) di una famiglia di pastai altoatesini, che si occupa soprattutto dei rapporti commerciali, visitando tutti i pastifici dell’Italia settentrionale, valicando spesso anche la frontiera. Pochi anni fa, nel 1930, Lenner in Svizzera, a Winthertur, visita il pastaio Weilermann che, per ovviare ai numerosi scarti e inconvenienti della tecnologia esistente, ha riunito l’impastatrice e la pressa per la produzione della pasta in modo da lavorare senza interruzioni. Alessandro ci mette al corrente e noi acquistiamo questa macchina che, diciamolo francamente, più che produrre pasta produce problemi, bloccandosi di continuo. A questo punto entra in scena l’opera di un abile meccanico, Tomaso Barbieri (1890-1944), e con lui interveniamo sui problemi che trasformano in maniera sostanziale il prototipo di macchina del pastaio svizzero fino a giungere al brevetto della prima pressa continua, capace di impastare, gramolare e trafilare senza interruzioni e che brevettiamo nel 1933. Una macchina che nasce grazie ai contributi di diverso tipo di quattro persone diverse, anche se io e mio fratello abbiamo il merito di aver guidato e diretto l’intero processo inventivo portandolo al brevetto e per questo non rifiutiamo l’attributo di “inventori” della prima pressa continua, capace di impastare, gramolare e trafilare senza interruzioni.

Gentili ingegneri, a pieno titolo inventori di questa nuova macchina, come credete possa intervenire sulla produzione della pasta e soprattutto se non rischia di sminuire o almeno alterare l’immagine di naturalità di questo prezioso alimento identitario italiano?

Premettiamo subito che la nostra invenzione è un assemblaggio coordinato che unifica in un unico strumento quanto già esisteva in un passato che inizia esattamente cento anni, fa quando Cesare Spadaccini inventa il suo uomo di bronzo e prosegue col francese Féreol Sandragné che nel 1917, ispirandosi ad una macchina per la produzione dei mattoni, mette a punto la prima pressa con viti continue (che non deve essere fermata e ricaricata ogni volta), e continua con lo svizzero Weilermann. Ma in realtà la storia inizia molto prima: la pasta italiana deve le sue caratteristiche alla sua composizione e alla lavorazione che l’uomo inizia a eseguire prima con le sue mani e anche coi suoi piedi, aiutandosi poi con macchine semplici (come la gramola e il torchio), ma soprattutto è il risultato del genio umano che non muta. Già tradizionalmente vi è stata un’evoluzione migliorativa degli strumenti che dal legno sono passati al metallo e la forza motrice da umana e animale è divenuta quella dell’acqua, poi del vapore e infine oggi dell’elettricità. Questi cambiamenti operativi si mantengono perché assicurano un miglioramento della qualità, iniziando dalla costante uniformità del prodotto e dalla possibilità di avere una quasi infinita varietà di formati che si adattano ai più diversi usi in cucina e nella gastronomia.

Nel ringraziarvi della gentile intervista, un’ultima domanda. La vostra nuova macchina come può influire sulla struttura dei pastifici e quali effetti sociali pensate possa avere?

Certamente la nostra macchina, in ogni singola fabbrica, aumenta la produzione diminuendo la presenza umana, riducendo il numero di lavoratori per quantità di pasta prodotta, facendo anche calare il costo di produzione. La nostra macchina però favorisce l’ampliamento delle fabbriche e la nascita di nuove fabbriche di pasta con un aumento complessivo dei lavoratori. Certamente la nostra nuova invenzione si diffonderà in tutti i pastifici d’Italia e stimolerà altri a rendere “continua” anche la fase dell’essiccazione. (Quanto effettivamente avverrà negli anni Cinquanta del Novecento, sempre a Parma, con la messa a punto delle prime linee continue per la produzione della pasta N. d. I.).