Il cibo è una cosa seria, perché entra in noi e ci trasforma. Nella “Valle del Cibo” che si stende intorno a Parma, dal Po agli Appennini, ci sono persone che dedicano la loro vita alla qualità del ciabo che noi mangiamo. Una di queste è Roberto Ranieri, laureato in scienze agrarie, Master negli USA, dal 1993 inizia a lavorare come manager nel settore R&D in Barilla dove organizza progetti di ricerca su filiere strategiche: quattro varietà di grano duro di alta qualità e otto brevetti europei registrati. Nel 2005 diventa direttore del CORIAL (Consorzio Ricerche Alimentari di Foggia). Dal 1998 al 2010 è stato consigliere Italmopa (Associazione dei mugnai italiani), dal 2005 al 2010 componente del board del progetto di ricerca europeo HEALTHGRAIN. Dal 2010 è Amministratore Unico di Open Fields e dal 2020 Presidente di Azienda Stuard. Esperto di tecniche di lavorazione industriale, gestione dell’innovazione, qualità del grano duro con lui parliamo di pasta, turismo, qualità e cura dell’ambiente.
La pasta, cibo simbolo del nostro Paese, è secondo lei un valido attrattore turistico-culturale e di promozione del territorio? Se sì perché?
Sono convinto che la pasta, ancora di più della pizza, può e potrà rappresentare il nostro paese nel mondo ed essere un’icona dell’immaginario dei turisti stranieri.
È di questi giorni la notizia che tre chili di fusilli sono arrivati a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (Iss) grazie al colonnello dell’Aeronautica Militare Walter Villadei, componente dell’equipaggio della missione Ax-3. L’iniziativa è nata dalla collaborazione del gruppo alimentare Barilla, il ministero dell’Agricoltura, l’Aeronautica militare e Axiom Space per sostenere la candidatura della cucina italiana a Patrimonio culturale immateriale dell’umanità Unesco. Bollire la pasta in microgravità non è possibile. Per questo, i fusilli inviati nello Spazio sono già cotti e pronti per essere riscaldati e gustati.
La pasta è usata spesso come termometro sociale e strumento di competizione economica da parte delle catene distributive e anche di promozione della loro attività da parte dei politici.
È diventata un simbolo del saper fare italiano perché è buona, permette di risaltare la biodiversità della nostra cucina e garantisce sempre un pasto ad un basso costo. È per questo che il termine pasta è uno dei più cliccati al mondo e in particolare le persone sono interessate a conoscere le centinaia di formati e le migliaia di ricette possibili. Pertanto, quando progetti di visitare l’Italia, non solo sei interessato a visitare le città d’arte e i monumenti famosi in tutto il mondo, ma vai in Italia anche per concederti degli ottimi piatti nei ristoranti dove la pasta nell’offerta dei primi non manca mai.
Non bisogna infine dimenticare il legame dei tipi di pasta con i vari territori del nostro paese, la pasta secca con i suoi 250 formati, ma anche la pasta fresca e quella all’uovo. Il territorio veicola cultura ed è pertanto attraente anche per il tipo di offerta gastronomica, per la quale esiste sempre uno storytelling con frequentemente la pasta come protagonista principale.
Profumo, spessore, colore, gusto, elasticità, quanto conta la cura della qualità nella produzione della pasta?
Il modello moderno e italiano del fare la pasta nasce con la legge 580 del 1967 in cui si sancisce che per fare la pasta occorre la semola, ottenuta dalla macinazione in purezza del grano duro, base di una ricetta semplicissima: semola più acqua. Con questa legge si sono stabiliti pochi ma essenziali requisiti di qualità: contenuto in ceneri massimo, contenuto minimo di proteine e livello di umidità.
Da allora sono cambiate molte cose: la semola è diventata nel corso dei decenni sempre più ricca di pigmenti antocianici (più colorata), più ricca di proteine e più garantita del punto di vista della sicurezza alimentare. Altre leggi successive, tra cui i regolamenti europei di Food Safety hanno contributo in tal senso.
La nostra filiera produttiva si è dunque forgiata con questa legge: gli agricoltori coltivano varietà di grano duro che garantiscono le buone rese agronomiche, ma che sono anche dotate di caratteristiche di qualità che impattano positivamente sul prodotto finito, come il colore e la quantità e qualità delle proteine. I centri di stoccaggio accumulano grano duro in silos a seconda, ad esempio, del peso ettolitrico e/o del contenuto di proteine o per varietà esclusive appartenenti a mulini o a pastifici o a costitutori di sementi.
I mulini nazionali, gestiti tutti da gruppi familiari, hanno una particolare attenzione per i parametri qualitativi, oltre che per le rese, e sono sempre pronti ad effettuare gli investimenti nelle tecnologie più innovative: selezionatrici ottiche, decorticatrici, Nir on line, laminatoi sempre più performanti e “intelligenti”.
Infine, i pastifici dedicano gran parte delle loro attività di ricerca e sviluppo alla qualità della pasta, alla sua stabilità nel tempo, al nervo, alla tenuta in cottura e alla sovracottura e al colore. Acquistano semole diversamente performanti in funzione del prodotto finito pasta che desiderano realizzare. Utilizzano strumenti oggettivi per la valutazione della qualità del prodotto finito. La cura quasi maniacale della qualità nasce ovviamente dal confronto continuo con il giudizio delle persone che utilizzano il prodotto. I consumatori italiani, sono infatti le persone più esigenti in fatto di qualità della pasta ed è anche grazie a loro che il modello italiano nel fare la pasta si sta diffondendo sempre di più nel mondo.
Sostenibilità e rispetto dell’ambiente sono aspetti sempre più importanti e, anche se la coltivazione del grano ha un impatto inferiore rispetto ad altri tipi di coltivazioni, bisogna considerare lo stoccaggio, il trasporto, la lavorazione il confezionamento e la distribuzione. Quali strategie può mettere in campo la filiera per essere sempre più green?
Vi sono già consolidati esempi di adozione nelle campagne dei modelli di supporto alle decisioni (DSS – Decision Support System) per il grano duro. Da terminale, l’agricoltore può decidere quali sono le scelte a lui più convenienti sia dal punto di vista tecnico che economico sulla base dell’andamento climatico e dello stato della coltivazione del grano duro. Questi sistemi permettono un risparmio di concimi e di presidi sanitari rendendo pertanto le coltivazioni di chi li adotta sempre più sostenibili. Ora sono anche in grado di calcolare le emissioni e gli eventuali risparmi di CO2 quando si adotta una tecnica colturale rispetto ad un’altra. Si parla sempre di più di agricoltura rigenerativa e tale tipo di agricoltura non potrà che avvantaggiarsi nella sua diffusione dei DSS e, più in generale, delle tecnologie di agricoltura digitalizzata.
I centri di stoccaggio si stanno dotando di pannelli fotovoltaici che permettono di produrre l’energia per i motori che alimentano i nastri trasportatori e le macchine refrigeranti (queste macchine permettono di ridurre l’impiego degli insetticidi durante la conservazione).
Nei mulini e lungo le linee di pastificazione la digitalizzazione è sempre più praticata: si risparmia energia per esempio adottando motori elettrici più performanti, o rendendo più efficiente il dosaggio dell’acqua in fase di macinazione e di impasto. Durante l’essiccazione della pasta, processo particolarmente delicato, l’estrazione dell’acqua è regolata nei minimi dettagli dalle PLC che permettono una drastica riduzione degli scarti. Negli ultimi due decenni, infine, molti pastifici si sono dotati di cogenerazione e cioè di generazione di energia elettrica e calorica direttamente in situ, ottimizzando pertanto l’impiego di energia.
Nei prossimi anni vedo un continuo progredire nei diversi punti della filiera produttiva della pasta di queste tecnologie rivolte alla drastica eliminazione degli sprechi di energia, dell’impiego di energia proveniente anche da fonti non fossili e una digitalizzazione ancora più spinta dei processi produttivi, a partire dalla campagna. E non riesco neppure immaginare l’impatto che l’Intelligenza Artificiale avrà su questi processi.