La pasta è da sempre un sinonimo di italianità, uno dei simboli del nostro retaggio culturale nel mondo. Gli spaghetti sono probabilmente il prodotto che più spesso viene affiancato all’Italia, il “Bel Paese” che più di ogni altro fa del buon cibo un suo tratto distintivo. Così, siccome gli usi e i costumi di una società sono linfa vitale per gli artisti, anche un prodotto popolare come gli spaghetti è stato ritratto e celebrato da scrittori, pittori, musicisti e creativi di ogni genere. Dall’acquerello di Pietro Fabris, col suo Mangiatori di spaghetti sulla baia di Napoli (1790), al Pentolin delle Lasagne (1935) di Antonio Rubino, la pasta è sempre stato oggetto e strumento di creazione, abbandonando la tavola e raggiungendo le pareti di Musei e mostre d’arte. Tra le interpretazioni più originali della pasta come oggetto artistico spicca senz’altro quella di James Rosenquist (1933-2017), uno dei grandi interpreti della Pop Art americana.
Il pittore originario del North Dakota era solito rappresentare le contraddizioni del suo tempo, scoperte lavorando come grafico in quel mondo della pubblicità così aspramente contestato dalla Pop Art negli anni Cinquanta e Sessanta. Appropriandosi di oggetti appartenenti alla quotidianità e indagandone i significati meno “immediati”, Rosenquist costruì una nuova logica artistica, assieme ai contemporanei Roy Lichtenstein e Andy Warhol. Così facendo, prodotti e strumenti all’apparenza banali e convenzionali venivano elevati a simboli dello stile di vita dell’epoca, soprattutto attraverso la loro rappresentazione pubblicitaria e televisiva, sempre affrontata con una pungente ironia. In questo senso Rosenquist rappresentò gli spaghetti in numerose tele e litografie, spesso come metafora di Caos e continuo mutamento della forma. La pasta ha infatti una natura cangiante e multiforme: da lineare, solida e geometrica, diventa morbida e malleabile, mescolandosi con sugo e condimenti in un turbinio di colori e sapori, quasi a ricordare un quadro astratto.
Una delle opere principali di Rosenquist è l’olio su tela: “I love You with my Ford” (1961), un dipinto in cui la pasta è un chiaro simbolo di piacere e benessere. Affiancati a una Ford (automobile che dà il titolo all’opera) e ad una figura femminile, gli spaghetti dell’artista statunitense denunciano il consumismo delle civiltà moderne, ma sono anche un rimando alla natura viscerale dei piaceri della vita, dai quali il cibo non può essere escluso. Le tre strisce orizzontali in cui è suddiviso il quadro rappresentano, in sostanza, l’ozio e il “bengodi” della società americana. Ma è nel gigantesco olio su tela intitolato F-111, vero manifesto della Pop Art, che Rosenquist esprime all’estremo la sua smodata passione per la pasta. Ancora una volta la mancanza di senso della misura e l’abbondanza, tipica delle tavole italiane, vengono affiancate a una serie di immagini che “inghiottono” l’osservatore, travolgendolo con una serie di icone evocative, tra cui un vero e proprio oceano di spaghetti al pomodoro. Le dimensioni smodate dell’opera simboleggiano un’aperta polemica alla futilità della ricchezza americana, che agli occhi di Rosenquist è figlia di un consumismo insaziabile e superficiale.
Il fatto che la pasta si sia consolidata come prodotto di consumo “tipico” negli USA, società in cui tutto è commerciabile e passeggero, rende evidente la sua importanza storica e – è giusto sottolinearlo – l’impareggiabile versatilità e qualità dei prodotti Made in Italy.