C’è un oggetto che ben racconta l’atto creativo del fare la pasta in casa. Un oggetto che ancora oggi è presente nelle nostre case e attira l’attenzione dei più piccoli che lo usano per aiutare la nonna a dar forma alla sfoglia appena tirata o per giocare a inventare forme originali con quei ritagli di impasto rubati all’attenzione dello chef. Stiamo parlando della speronella e il Museo della Pasta ne custodisce un’interessante collezione.
La speronella, uno strumento semplicissimo nel funzionamento e utilizzo, che dalla sua introduzione in cucina, nel Medioevo (ma le sue origini sono ancora più lontane nel tempo), non è cambiato molto ma nella sua semplicità può regalare storie curiose e stuzzicanti. Al Museo della Pasta, collocato all’interno dell’antica corte medioevale di Giarola, vicino Collecchio, ne viene conservata una collezione particolare di un centinaio di esemplari databili tra il XVI e XX secolo, da studiare e osservare con estrema attenzione per scoprirne dettagli e curiosità nascoste. Questa raccolta è frutto della paziente ricerca del corniciaio milanese Attilio Vicenzetto, poi acquisita nel 2011 dall’Archivio Storico Barilla e successivamente giunta al museo dedicato al prodotto simbolo del made in Italy all’interno del quale si potrà ammirare e scoprire anche la storia di questo semplice ma indispensabile attrezzo di cucina.
La speronella, ispirata, nel nome e nella forma, alla rotella dentata dello sperone utilizzato per incitare i cavalli, venne disegnata non già con punte – che avrebbero bucato la sfoglia –, ma con il bordo mosso da una serie regolare e continua di sinuosità, per dare al taglio della pasta il caratteristico segno a serpentina.
La prima citazione è dovuta a Cristoforo Messisbugo, scalco alla Corte degli Estensi, che inserisce la speronella in un testo gastronomico nel 1549, mentre Bartolomeo Scappi, cuoco a servizio di Papa Pio V, è il primo a raffigurarla nella sua Opera, pubblicata a Venezia nel 1570. Con il passare del tempo, la speronella sperimenta nuove forme, alcune anche fantasiose, e materiali differenti, dal più comune legno fino a esemplari più preziose in osso, avorio o metalli pregiati come l’argento.
E così la collezione si può arricchire di modelli eterogenei come quelli fatti in legno di bosso, conosciuto per la sua durezza, che si presta a intagli decorativi geometrici e zoomorfi. Il bronzo e l’ottone ampliano le possibilità estetiche e d’uso: consentivano la fusione di manici con pomoli dalle forme diverse, ma anche variazioni funzionali come la doppia rotella o l’aggiunta di un coltello tagliapasta negli esemplari cinque-seicenteschi utili per i pasticceri o ancora l’inserimento di timbri a rilievo che servivano per marchiare l’impasto in modo da rendere riconoscibili focacce e pani da cuocere nel forno comune o, ancora, di uno stampo da tortelli o di un cucchiaio.
Quando poi l’usura logorava le rotelle intagliate nel legno, nelle cucine rurali dove non si buttava via nulla, dei dischetti d’osso o addirittura, sul finire dell’Ottocento, monete fuori corso opportunamente limate, servivano a rimpiazzare l’originale in modo ineccepibile, conferendo all’attrezzo un’aria più vissuta e famigliare.