Ironici ammiccamenti, simbologie e ricordi naturalistici si nascondono tra i formati di pasta e in una divertita pagina di Cesare Marchi tratta da Quando siamo a tavola:
«La pasta invece scatena nella mente un valzer di metafore, spaghetti, spaghettini, penne, pennoni, rigatoni, bucatoni, fidelini, trenette, tortiglioni. Alcune vengono dal mondo della zoologia, ed ecco le farfalle, le farfalline, le conchiglie, le conchigliette, le chiocciole, le creste di gallo, le code di rondine, gli occhi di elefante, i vermicelli (piccoli vermi), i lumaconi, le linguine, le orecchiette. Dalla botanica: i fiori di sambuco, la gramigna, i sedani. Dalla religione: i capelli d’angelo, le maniche di frate, le avemmaria, i cappelli da prete. Aggiungiamo i fusilli, spaghetti arrotolati a mano attorno ad un ferro da calza, somiglianti alle treccine del calciatore Gullit. Nello scegliere la sua pasta, l’italiano è un poeta, e non lo sa. Quando poi golosamente risucchia il bucatino, diventa musicista, facendolo fischiare come un piffero all’incontrario».
In: MARCHI Cesare (1922-1992), Quando siamo a tavola. Milano (I), Rizzoli, 1990.