Giancarlo Gonizzi
È nel Medioevo che la pasta secca di semola di grano duro, dopo un primo sviluppo in area Mediorientale, inizia la sua più ampia diffusione, proprio in Italia, a partire dalla Sicilia, ricco “granaio” al centro del Mediterraneo. Da qui la produzione di pasta, attestata in Liguria, Emilia e Campania, assunse progressivamente le caratteristiche di attività artigianale-industriale, anche grazie all’introduzione nel Cinquecento di appositi macchinari – gramola, torchio, trafila – che ne velocizzano la produzione.
Nascita della trafila
È nell’XI secolo che i lavoratori dell’oro e d’altri metalli preziosi elaborano strumenti per produrre fili sempre più lunghi e sottili e la tecnologia adottata viene successivamente estesa anche ad altre produzioni tra cui la ceramica e la pasta, quest’ultima prodotta per la prima volta mediante la tecnica dell’estrusione intorno al XV secolo, grazie all’impiego del torchio a vite, citato esplicitamente per la prima volta in un testo del 1548 da Cristoforo da Messisbugo (fine 1400-1548), scalco alla Corte di Ferrara.
Sono poi i pastai napoletani tra i primi ad adottare questo “ingegno”, come riportato in diversi documenti del 1579, 1596 e 1634. Uno strumento, di cui la trafila è parte essenziale, che un pittore ignoto fiorentino intorno al 1615 rappresenta su una delle famose pale della collezione dell’Accademia della Crusca, poi disegnato a penna dal canonico della chiesa metropolitana di Firenze Niccolò Cini (?-1638), discepolo di Galileo. In questa pala, il motto “A più angusto vaglio assottigliato” bene identifica la funzione propria della trafila di assottigliare la pasta, rendendola più fina, con un termine, quest’ultimo, che è sinonimo, nel parlare comune, anche di preziosità.
La formatura della pasta
Gli spaghetti, che in Oriente nacquero in forma autonoma, venivano modellati manualmente. Solo l’inventiva e la tecnica italiane hanno permesso, attraverso apposite macchine migliorate con l’applicazione della forza idraulica, la produzione di centinaia di differenti formati di pasta.
Inizialmente costruito in legno con campana e trafila in bronzo, il torchio da pasta è applicato al muro della cucina per poter esercitare più agevolmente la forza necessaria con una lunga stanga o pertica. L’evoluzione tecnologica porta, prima a introdurre la vite in metallo e poi a realizzare presse interamente metalliche, anche se di piccole dimensioni, con la vite direttamente collegata alla manovella.
Nell’Ottocento il torchio verrà prodotto in ghisa, aumentandone sensibilmente le dimensioni e la resa produttiva. Al termine della bocca del torchio veniva incastrata la trafila, una lastra di metallo spesso che, grazie ai suoi fori di differenti forme e dimensioni, permetteva la fuoruscita dei diversi formati, tagliati poi manualmente dal pastaio o da un coltello meccanico rotante posto all’esterno della trafila stessa. Furono costruite presse orizzontali, impiegate principalmente per le pastine corte da minestra, e verticali, per i formati lunghi.
Alla fine del secolo XVII e nel periodo dell’Illuminismo, Paul-Jacques Malouin (1701-1778), medico e chimico francese, si occupò anche dei metalli concentrandosi su zinco, stagno e piombo e nel 1752 inventò un processo di zincatura a caldo. Malouin nel 1767 dava alle stampe Arts du meunier, du boulanger et du vermicellier, dans la collection des Arts et métiers publiée par l’Académie des sciences. In questo testo erano descritte in dettaglio le arti del mugnaio, del pastaio e del fornaio, con una storia sintetica della panificazione e un dizionario di queste arti. In questa trattazione i vermicelli erano prodotti con torchio in legno dotato di una trafila in bronzo, uno strumento molto simile a quello acquistato nello stesso periodo da Thomas Jefferson (1743-1826) per impiantarne la produzione anche sul suolo americano.
Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, l’avvento delle macchine a vapore e poi quello dell’energia elettrica trasformarono i metodi di lavorazione della pasta e i torchi metallici divennero sempre più efficienti per essere poi integrati in macchine che eseguivano le operazioni essenziali del processo di fabbricazione: impastamento, gramolatura, torchiatura, trafilatura (pressa continua Braibanti – 1933). Alcune officine meccaniche si specializzarono nella produzione di trafile. Fra queste vanno ricordate Capitanio di Como e Niccolai di Pistoia, città dove, a partire dalla prima officina di Garibaldo Ricciarelli, era cresciuto un vero e proprio distretto di produzione delle trafile.
Le trafile
La più antica attestazione della parola “trafila” nella lingua italiana risale al 1630, nella raccolta di favole napoletane Cunto de li Cunti di Giambattista Basile (1575-1633). Per essere citata in una favola, il termine doveva ormai essere di uso comune da molto tempo.
La trafila è una piastra metallica attraversata da numerosi fori di forme e dimensioni tali da determinare i vari formati di pasta.
La pressione esercitata dal torchio sull’impasto, costringeva la pasta ad attraversare i fori della trafila e a prendere la sua forma definitiva.
La produzione delle trafile divenne attività specifica di officine meccaniche di precisione, che contribuirono alla nascita e alla proliferazione di nuove forme di pasta: oggi in Italia se ne contano oltre 300…
I fori delle trafile per paste bucate presentavano un’anima riportata; per le paste lunghe e sottili si usavano anche trafile di piccolo spessore che si collocavano su appoggi in acciaio.
Nei piccoli pastifici si usavano anche trafile “multiple”, cioè con differenti formati disposti sulla stessa piastra metallica per potere produrre quantitativi ridotti dei singoli formati.
L’evoluzione delle trafile
Le trafile inizialmente erano costruite in rame, un metallo facile da modellare e adatto al contatto con gli alimenti. Grazie all’impiego di punzoni in ferro appositamente costruiti dai trafilai, le lastre venivano ripetutamente battute fino ad ottenere un incavo della forma voluta sul lato superiore e una sporgenza corrispondente sul lato inferiore della piastra. A questo punto limando con pazienza la parte sporgente si apriva il foro destinato a dare la forma alla pasta. Un simile procedimento manuale, frequentemente svolto all’aperto lungo le strade, era estremamente lungo, faticoso e delicato, tanto che anche un solo foro mal formato poteva portare a scartare l’intera piastra.
Una volta che la trafila aveva esaurito la sua vita utile, dando origine ad un prodotto non conforme, il rame poteva essere fuso per essere riutilizzato. Nel secolo XX il rame veniva gradualmente rimpiazzato da ottone e da bronzo al manganese e bronzo-alluminio, e, grazie alla meccanica di precisione, facevano la loro comparsa gli inserti intercambiabili: era così possibile mantenere il supporto forato della trafila e sostituire solo gli inserti consumati.
A partire dagli anni Sessanta del Novecento si diffondevano le trafile in acciaio con inserti in teflon da cui traeva origine una nuova branca di paste secche di grandi superfici lisce, molto meno porosa rispetto a quella trafilata al bronzo. Di pari passo comparivano anche macchine lava-trafile.
I materiali usati nella costruzione di una trafila sono determinanti per la qualità della pasta, permettendo di avere filiere forate in modo preciso, garantendo omogeneità e giusta rugosità delle superfici lavorate e questa è la caratteristica principale che contraddistingue le trafile in bronzo da quelle in teflon.
Inoltre, anche la scelta degli utensili usati nella costruzione delle trafile ha una parte rilevante per la qualità del prodotto finale perché la trafilatura rappresenta il cuore della lavorazione della pasta.