Storia della antica Bûtega da fidiâ Sivori ovvero da-o Bolàn
Nel Museo della Pasta di Collecchio è stata rimontata ed esposta ai visitatori l’attrezzatura di un antico pastificio chiavarese. Fu acquisita, nel 1993, su iniziativa di Pietro Barilla, dai F.lli Celle di Chiavari che ne erano entrati in possesso nel 1979 rilevando un’attività, detta popolarmente in lingua locale da-o Bolàn (leggi da-u Bulàn), che, da oltre un secolo e mezzo, custodiva quelle macchine nei propri locali.
Quel pastificio era a bûtega da fidiâ = il laboratorio da pastaio che nella prima metà Ottocento, Giuseppe Sivori (nato nei primi anni Venti dell’Ottocento) gestiva, nel tratto occidentale del caroggio drïto nei locali tra questo, dove si apriva il negozio di vendita, e il retrostante caroggio di bighetti, dove si apriva il retro sopra il quale, al primo piano, stava il macchinario del laboratorio. Ricordando che la versione antica della “gramola a molazza” mossa con forza animale (quella idraulica nel nostro caso è assolutamente da escludere) era in uso in Liguria già alla fine del Settecento e che la motorizzazione compare in Liguria, per quanto ne so, verso l’ultimo quarto dell’Ottocento, nella bottega Sivori la forza motrice era probabilmente quella fornita dai lavoranti[1].
Nella Chiavari dell’Ottocento erano attive molte botteghe di vermicellai (nella colonna a fianco è visibile la foto di un’insegna sopravvissuta ad un’attività ormai cessata) e che nelle annuali Esposizioni di artigianato la locale Società Economica ne premiava sovente la produzione[2].
I Sivori erano originari della vicina frazione collinare di Santa Giulia di Centaura, posta amministrativamente sotto Lavagna, il centro attiguo a Chiavari, dove tuttora risiede la maggioranza delle famiglie italiane con quel cognome. Da Santa Giulia, a suo tempo, è certamente venuta a Chiavari la famiglia Sivori che gestì il pastificio, così come si trasferì a Genova quella di Camillo Sivori, il più famoso tra i violinisti allievi di Paganini, quella materna (emigrata in Argentina) di Papa Francesco (figlio di un Bergoglio e di Maria Regina Sivori) e quella del famoso calciatore Omar Sivori. ?La Liguria è sempre stata terra di emigrazione, anche transappenninica. Così resta traccia di un ramo della famiglia Sivori che si sarebbe trasferita a Parma negli anni Settanta dell’Ottocento dove avrebbe esercitato l’Arte bianca e impiantato un laboratorio per la produzione di paste alimentari “all’uso di Genova”. Curiosamente Pietro Barilla Senior (1845-1912), fondatore, nel 1877 dell’omonimo pastificio e nonno di quel Pietro che nel 1993 avrebbe acquistato i macchinari di Chiavari, era imparentato con i Sivori: infatti il fratello di Pietro, Giuseppe, nato nel 1840, pure fornaio artigiano, aveva sposato Emilia, figlia del fornaio Giovanni Sivori.
O nomiagio, il soprannome di o Bolàn, che a quel Sivori era stato popolarmente attribuito ed ereditato dal figlio Paolo e dai successori, si diceva fosse dovuto al fatto che lo stesso era anche l’incaricato chiavarese di bollare (in ligure bolâ) ufficialmente i pesi e le misure. Ritengo la cosa infondata in quanto, dal libretto di lavoro del suo lavorante, Giuseppe risulta analfabeta (firmava per lui la moglie Angela Daneri) e dal certificato della verifica delle bilance del figlio Paolo[3] (che, di buona cultura, ricopriva anche incarichi pubblici) si vede che questa era sottoscritta da altra persona. In lingua genovese il verbo bolâ significa anche “immergere” e come sostantivo “quantità indefinita di qualcosa”: l’etimologia del soprannome è pertanto da ritenersi non identificabile.
Il soprannome venne poi “ereditato”, fatto tutt’altro che insolito, dal successore (ed ex garzone) di Paolo Sivori, Pietro Canepa (1895-1950) la cui famiglia gestì l’attività successivamente alla Prima Guerra mondiale fino al 1970 circa. L’ultima Canepa fu Aurelina, a Relinn-a, coadiuvata dal marito Luisitto Migliaro: i due vennero sempre correntemente indicati come o Bolàn e a Bolann-a.
Il negozio, che continuò, come per il passato, a non avere insegna, fu rilevato nel 1979 dai F.lli Celle, provenienti dal Cile, che lo trasformarono in una elegante rosticceria-salumeria-pastificio. Esposero, per la prima volta, un’insegna che recitava “Rosticceria da Bulan” (maltrattando la lingua ligure che richiede l’articolo davanti ai nomi e soprannomi). I Celle trasferirono la loro attività di rosticceria, negli anni Novanta, alla periferia di Chiavari, con la stessa insegna. Nell’antico locale del centro, proprietà di eredi dei Sivori dal diverso cognome, c’è da molti anni un moderno negozio di abbigliamento”Chopper”.
Il fondo in cui ha operato per oltre un secolo il pastificio si trova nella principale via commerciale di quello che era il borgo medioevale murato di Chiavari[4]. Nato dall’urbanizzazione del 1178 fu edificato sull’area alluvionale/arenile lasciata dal mare in progressivo allontanamento dall’antica linea di costa collinare.
Cesare Dotti Segretario della Società Economica di Chiavari
Luglio 2016
[1]Trascrizione del libretto di lavoro del lavorante del Vermicellaio Sivori:
Libretto di Giuseppe Valle di Giobatta nato a Sori l’anno 1827 in Genaro, giovane di onesti e probi costumi e buona morigerata condotta lavorante da vermicellaio di origine contadino. / Sori 30 settembre 1845 / Il Sindaco Assereto
Si trasferisce a Chiavari in quella qualità col sig. Giuseppe Sivori vermicellaio.
Sedici anni dopo: sottoscrizioni:
– dell’operaio illetterato Giuseppe Valle segno di croce
– Giuseppe Sivori (padrone) segno di croce
Dichiaro che Giuseppe Valle di Giobatta nativo di Sori abitante in Chiavari lavora nella mia fabbrica da vermicellajo in qualità di giornaliero essendo Giuseppe Sivori illetterato firma Angela moglie
Chiavari li 30 genajo 1861.
[2] Nei resoconti dell’Esposizione del luglio 1885 viene ricordato: «Nella “Sezione sostanze alimentari” viene assegnato secondo premio a Piaggio GB e figli per “collezione di paste da vermicellajo di buona fabbricazione”».
[3] Paolo Sivori, figlio di Giuseppe, nasce il 9 aprile 1852 e muore, a 82 anni, il 18 dicembre 1934. Ebbe dalla moglie Maddalena Soracco solo due figlie femmine, Rachele ed Ester, e nessun maschio che potesse continuare l’attività di famiglia.
[4] Il negozio dei Sivori era nel caroggio dritto o strada dritta o via retta, nell’Ottocento chiamato via Vittorio Emanuele e dopo la seconda guerra mondiale via Martiri della Liberazione. L’antico numero civico era il 43: dopo l’inversione dei numeri civici con lo spostamento dei numeri dispari sulla mano sinistra provenendo dal centro civico il numero è diventato il 130.