I Maccheroni di Gioacchino Rossini conquistano la Francia

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di Giovanni Ballarini

Cucina italiana in Francia

La storia della cucina è piena di leggende culinarie e tra queste che la cucina francese fiorita nel Milleseicento sia stata originata da quella fiorentina importata da Caterina de’ Medici (1519-1589) nipote di Lorenzo il Magnifico, che nel 1533 va sposa a Enrico d’Orleans, il futuro Enrico II, portandosi al seguito cuochi e pasticceri fiorentini, toscani e siciliani che fanno scuola. Una leggenda se non creata almeno divulgata da Nicolas Camille Flammarion (1842-1925) quando scrive che i cuochi italiani sono all’origine della cucina francese e che i cuochi francesi come La Varenne, De Masseliert, Valet, De la Chapelle, Carême, Ecoffier s’ispireranno così bene che non tarderanno a surclassare i loro iniziatori. La leggenda culinaria elenca anche ciò che Caterina avrebbe portato in Francia: salse, uso delle rigaglie, olio d’oliva, crespelle, spinaci, fagioli, piselli, carciofi, cucina dei volatili all’arancio, pane bianco o pan de la Reine e pasta (maccheroni, tagliatelle e lasagne), sorbetti di frutta e gelati di zabaione e crema, assieme a una serie di ricette e l’uso di tovaglie damascate e delle forchette, e perfino le mutande che usa quando andava a cavalcare montando non all’amazzone ma alla moda maschile. Questo mito non rispecchia la verità, soprattutto per la pasta e in particolare i maccheroni che sono invece fatti conoscere ai francesi anche per opera di due artisti, Gioacchino Rossini e Adelaide Ristori.

Gioacchino Rossini e i maccheroni dell’Otello

Nel 1816 Gioacchino Rossini (1792-1868) è a Roma. La sua opera Il Barbiere di Siviglia ha un esito più che contrastato (oggi è una delle opere più rappresentate) e sembra voglia rinunciare alla vita musicale, ma Francesco Barbaja, famoso impresario del Teatro San Carlo, crede in lui e gli offre ospitalità nel suo palazzo Berio di Napoli con il suo cuoco e la servitù perché gli consegni entro sei mesi una nuova opera, l’Otello.

Rossini accetta e per mesi fa vita spensierata e non scrive una sola nota per cui, pochi giorni prima della scadenza del termine, Barbaja lo confina nel palazzo e gli dice che sarebbe rimasto 1ì con due soli piatti di maccheroni al giorno fino che non avesse consegnato l’Otello. Dopo ventiquattro ore Rossini consegna a Barbaja lo spartito della famosa ouverture e in breve quelli delle altre parti dell’opera. Rossini stesso in una lettera racconta che “Ho composto l’ouverture dell’Otello in una cameretta di palazzo Barbaja, ove il più calvo e il più feroce dei direttori mi aveva rinchiuso per forza, senz’altra cosa che un piatto di maccheroni, e con la minaccia di non poter lasciare la camera, vita durante, finché non avessi scritto l’ultima nota”.

Gioacchino Rossini, oggi considerato uno dei più importanti compositori di musica italiano, scrive: “Non conosco un’occupazione migliore del mangiare, cioè, del mangiare veramente. L’appetito è per lo stomaco quello che l’amore è per il cuore. Lo stomaco è il direttore che dirige la grande orchestra delle nostre passioni”. “L’appetito è per lo stomaco quello che l’amore è per il cuore”. “Non conosco un lavoro migliore del mangiare”. “Per mangiare un tacchino dobbiamo essere almeno in due: io e il tacchino”, “Mangiare, amare, cantare e digerire sono i quattro atti di quell’opera comica che è la vita”. Nel libro Con sette note, di Edoardo Mottini, è scritto che un ammiratore – vedendolo così allegro e pacifico – chiedesse al maestro se egli non avesse mai pianto in vita sua: “Sì – gli rispose Rossini – una sera, in barca, sul lago di Como. Si stava per cenare e io maneggiavo uno stupendo tacchino farcito di tartufi. Quella volta ho pianto proprio di gusto: il tacchino mi è sfuggito ed è caduto nel lago!”.

Sempre sui maccheroni, si narra che Rossini non avesse buona memoria dei nomi e delle fisionomie. Una volta trovandosi accanto a pranzo un vicino che gli dice: “Non si ricorda di me? Eravamo insieme a quel pranzo dove in suo onore fu servita una gran torta di maccheroni”. Rossini lo considera a lungo, scuote la testa e dice: “Mi ricordo dei maccheroni, ma non mi pare di ricordarmi di lei”. Rossini è un grande amico di Marie Antonine Carême (1784-1833), uno dei più famosi chef dell’epoca il quale gli dedica parecchie delle sue ricette e Rossini contraccambia dedicando proprie composizioni musicali al grande cuoco.

Quasi certamente tra i compositori di musica è anche il più esperto gastronomo che si è occupato anche del più celebre cibo italiano, la pasta e in particolare i maccheroni che ama cucinare quasi in un rito.

Rossini a Parigi e i maccheroni

Rossini vive i suoi ultimi venticinque anni a Parigi dove si fa inviare da Siviglia i prosciutti, da Gorgonzola il formaggio, da Milano il panettone, da Bologna le mortadelle, da Modena gli zamponi, da Ascoli i tartufi e da Napoli i maccheroni conosciuti, come abbiamo visto, durante la composizione dell’Otello.

Come racconta Edmond Michotte (1831-1914) “quasi figlio” di Rossini, volendo avere maccheroni di Napoli va a cercarne da certo Canaveri, un oriundo italiano che vende anche pasta e che mostra i suoi maccheroni. Rossini non gli crede e afferma che non sono di Napoli e il Canaveri tenta invano di sostenere il contrario. Michotte, incontrato poi il Canaveri, gli dice che quel signore dei maccheroni era il maestro Rossini. “Rossini? – dice Canaveri – non lo conoscevo, ma se s’intende di musica come di maccheroni, deve scrivere di bella roba!”. Rossini rise di questa uscita, asserendo che da nessuno aveva raccolto mai una lode così iperbolica.

Sempre Michotte parlando della cottura dei maccheroni ricorda: “Fu allora che comparve Rossini, che con la sua delicata mano grassottella, scelse … una siringa d’argento. La riempì di purè di tartufi e, con pazienza, iniettò in ciascun rotolo di pasta questa salsa incomparabile. Poi sistemata la pasta in una casseruola come un bambino nella culla, i maccheroni finirono la cottura tra vapori che stordivano. Rossini restò là, immobile, affascinato, sorvegliando il suo piatto favorito e ascoltando il mormorio dei cari maccheroni come se prestasse orecchio a note armoniose”.

Rossini e la ricetta dei maccheroni per Alessandro Dumas

Alessandro Dumas Padre (1802-1870), scrittore francese e apprezzato buongustaio, non ama i maccheroni e confessa che pur avendo abitato in Italia per cinque anni non è mai andato oltre il primo boccone e non piacendogli questa pasta non si è mai preoccupato di sapere come si cuocessero. Dovendo farlo anche per il suo libro di cucina, scrive a Rossini che secondo quanto si dice mangia i migliori maccheroni napoletani. Rossini risponde con una garbata lettera invitandolo a casa sua per mangiare i maccheroni e impegnandosi, dopo che li avesse assaggiati, a dargli la ricetta. Andato a cena da Rossini, questi vede che Dumas assaggia ma non mangia i suoi maccheroni e lo giudica indegno di farli provare ad altri. Decide così di non dargli la sua ricetta. Dumas allora per conoscere la ricetta dei maccheroni napoletani, che ritiene indispensabile nel suo Dizionario, si rivolge al marchese del Grillo, Giuliano Capranica (1822-1861), marito dell’attrice Adelaide Ristori (1822-1906) che lo invita a cena e gli dà quella che definisce la vera, sola e unica ricetta dei maccheroni napoletani.

Adelaide Ristori e la ricetta parigina dei maccheroni

Adelaide Ristori è l’attrice teatrale italiana più famosa e influente dell’Ottocento, acclamatissima dal pubblico e lodata dai suoi contemporanei anche per il suo patriottismo risorgimentale. Secondo Adelaide Ristori i maccheroni nella Parigi dell’epoca vanno acquistati da Bonsollazzi (rue d’Anjou-Saint-Honoré, 76), i grossi a Napoli detti strozzapreti e da preferire, i piccoli maccheroncelli più delicati. Per un ragù e una cena per dodici persone, al mattino prendere quattro libbre di girello, una libbra di prosciutto crudo affumicato, quattro libbre di pomidoro, quattro grosse cipolle bianche, timo, alloro, prezzemolo e uno spicchio d’aglio, e cuoce per tre ore rimescolando. A questo punto bagna con acqua sino a che la sommità del pezzo di manzo non formi una isoletta grande come una moneta da sei franchi, lascia cuocere e ridurre per quattro ore. Fa poi bollire i maccheroni o maccheroncelli in molta acqua salata e ogni tanto li assaggia: si devono spezzare fra le dita perché troppo cotti non valgono niente. Secondo un modo di dire napoletano, bisogna che crescano in corpo e il grado di cottura è una questione di sentimento: se avrete fallito due volte, riuscirete alla terza. Quando si decide che sono cotti, bisogna toglierli dal fuoco e rovesciare nell’acqua bollente una caraffa d’acqua fredda e versare in un colapasta. In una zuppiera vuota bisogna coprire il fondo con un pugnetto di Parmigiano di primissima qualità, stendere un letto di maccheroni, poi uno strato di ragù, altri maccheroni e su questi una coltre di formaggio e così di seguito, alternando formaggio, maccheroni, ragù, maccheroni e formaggio. Quando la zuppiera è piena, coprire ermeticamente e servite dopo dieci minuti (Dumas Alexandre – I maccheroni di Rossini – La Petite Presse, Correspondence, n. 957, Paris (F), 1° dicembre 1868).

Adelaide Ristori in fatto di cucina compete anche con Giuseppe Verdi (1813-1901) e pretende di dominarlo con le sue tagliatelle, mentre Verdi la minaccia di eclissarla con il suo risotto che sa fare divinamente. Verdi ama anche i maccheroni, come si desume dalla lettera che la moglie Giuseppina Strepponi (1815-1897) invia all’impresario Mauro Corticelli (1834 -1879) il 10 novembre 1862 in occasione della prima de La forza del destino scrivendo che “ci sarebber voluti i tagliatelli e i maccheroni ben perfetti per renderlo di buon umore in mezzo al ghiaccio e alle pellicce” di San Pietroburgo.